Guglielmo Maria

Guglielmo Maria
Le Sette Sorelle

giovedì 29 luglio 2010



Evidentemente il blog, il mio blog, é un animale notturno. Mi chiama quando, come ora, non riesco a dormire e lo fa con una voce insidiosa e così suadente che anche quella parte ragionevole del cervello che ti dice "rimani a letto, prova a dormire, riposati che domani vai al lavoro" si deve arrendere alle lusinghe dei pensieri in libertà.

I pensieri (notturni) in libertà sono degli assassini. Si fanno strada fra le coltri e ti si piantano in testa come paletti nel cuore di Dracula. Tu hai un bel da girarti e rigirarti, voltarti e rivoltarti, stringerti al cuscino afferrandolo come se fosse la tua ancora di salvezza per resistere in un mare di seducenti sensazioni tattili, visive ed odorose come solo i sogni potrebbero essere, se si sognasse. I pensieri (notturni) in libertà sono peggio di uno sfigato che ti viene incontro su di una strada buia con gli abbaglianti accesi, luci tanto luminose che la notte sembra ancor più densa, ancor più nera, come un enorme sacchetto di liquirizia alla violetta.

Allora, vinto dal richiamo della foresta, capisci che l'unica cosa da fare é scendere dal letto, cercare a tentoni braghette, maglietta e un paio di qualcosa da infilarci i piedi, il tutto in assoluto silenzio per non svegliare Mrs. K. o la piccola fragola e, navigando a fianco dei muri, raggiungere la postazione di sud-est, accendere il pc, infilarsi le cuffiette, metter su Miles Davis, aprire il blog e scrivere. Non puoi fare altro. Meglio una notte da scrittori che cento notti da insonni.

***

Prima, accucciato nel letto, pensavo a come diventerebbe il mondo se una mattina, tutti insieme, decidessimo di uscire di casa senza metterci la nostra solita armatura, evitando di sfoderare il nostro più falso sorriso Colgate. Cioé, se non si é capito, uscire nudi, per niente vestiti. Lasciando a casa le maschere ed i travestimenti, lasciando a casa quella parte di noi che ci siamo costruiti perché gli altri ci vedano in una certa maniera, lasciando a casa tutto ciò che, in fondo, é nostro solo perché ce lo vogliamo tenere addosso ma che, ancora più in fondo, non fa parte di noi. Lasciando a casa le armi di offesa e di difesa. Tutti nudi.

Sarebbe un bel gesto di coraggio, uscire di casa come mamma ti ha fatto, fisicamente e psicologicamente. Lasciare a casa anche tutti i pregiudizi, quelli che ti impediscono di vedere le cose come stanno, gli altri come sono. A pensarci bene é un  bel casino, anche affascinante, nella sua complessa complessità. Provo a spiegarmi meglio, me lo devo, se no mi ci perdo pure io.

Facciamo finta di essere in due sulla terra, io e te che stai leggendo. Alla mattina ci svegliamo, espletiamo i nostri bisogni fisiologici, facciamo colazione e ci prepariamo per la giornata infilandoci nella nostra benedetta armatura. Siamo deboli, si sa, quindi meglio affrontare il mondo corazzati, come un cavaliere medioevale od un agente dalla SWAT. L'armatura é cangiante, elegante, di solito non si vede, qualche volta si capisce, molto spesso si subisce. Comunque sia, ce la mettiamo ed usciamo di casa.

Insieme ai carboidrati a colazione abbiamo fatto il pieno quotidiano di pregiudizi, ripassando mentalmente le tabelline dei rapporti interpersonali, le equazioni della vita sociale e gli algoritmi sugli incontri casuali. Magari i risultati sono diversi ogni giorno, ma quando usciamo di casa abbiamo le nostre idee precotte, su di noi, sugli altri, sulla vita in generale e su quello che vogliamo fare in particolare. Ci siamo, siamo pronti, andiamo alla guerra, abbiamo anche le lenti a contatto per vedere solo ciò che ci pare.

Ricorda, siamo in due. Riepiloghiamo. Ognuno di noi era nudo, in origine. Ci siamo alzati dal letto e subito ci siamo nascosti dentro una scintillante armatura, abbiamo fatto il pieno di pregiudizi e ci siamo messi le lenti selettive, quelle che ci fanno vedere le cose come vogliamo noi. Ok? Tutto chiaro? Spero di sì.

Poi ci incontriamo, buongiorno, buonasera, vaffanculo, sia come sia. Io vedo te, tu ovviamente vedi me. Io vedo te come voglio vederti, tu vedi me come vuoi vedermi. Abbiamo le lenti selettive, no? Quindi, tanto per iniziare nessuno vede una cosa vera. La sfiga é, che se volessimo indagare più a fondo, colti da un'anelito di verità e di sincera curiosità, andremmo a sbattere contro l'armatura che l'altro porta. Quindi, in ogni caso, avremmo una visione distorta della verità. Nel primo caso vediamo l'altro come vogliamo noi, nel secondo lo vediamo come si vuol fare vedere lui. In nessuno dei due casi lo vediamo per come é, persi in una spirale di segnali stradali di senso unico.

Forse nessuno lo sa, come la vita é per davvero. Come siamo noi, per davvero. Come sono gli altri, per davvero. Come potremmo essere, per davvero. Come vorremmo essere, per davvero. Forse nessuno lo sa. Per questo sarebbe eccezionale, una mattina uscire nudi per strada. Nudi. Nudi nati, come dicono a Fast City. Nudi e basta. Niente vestiti, niente idee, solo la voglia di vedere il mondo e di scoprire gli altri.

Sembrerebbe dura... Io dovrei mettere a nudo il mio pisello, la mia burella, il mio io con tutti i suoi difettacci. Tu dovresti mettere a nudo la tua passera, la cellulite ed il tuo io con tutti i tuoi difettacci. Lui dovrebbe mettere a nudo le sue vere tendenze sessuali, lei far sapere che ha sempre sopportato questo e quello. E così via, per ognuno di noi che sta al mondo.

Ma, mi chiedo, sarebbe dura "veramente"? Sarebbe dura mostrarsi difettosi in un mondo nel quale tutti sono pieni di difetti? No, non credo, sarebbe una cosa assolutamente normale, non farebbe per niente scalpore. In realtà é già così, il mondo é pieno di persone "difettose" ma ci vogliamo ingannare fingendo di essere perfetti. C'é una stringente logica sadomaso che sottende i nostri comportamenti. Se fossimo più liberi dai condizionamenti, sgraveremmo il cervello da uno squasso di pugnette che ci portano via un sacco di energie e saremmo più pronti a vivere l'attimo. A cogliere l'attimo, a cogliere l'altro. Ad accogliere l'altro.

Io non credo che sarebbe dura. Io sono convinto che sarebbe molto meno faticoso. Certo, chi é molto pieno di se stesso, dovrebbe impegnarsi un pò di più, ma sarebbe anche molto più ricompensato. Niente é regalato, ma se una mattina tutti, e dico tutti, uscissimo di casa nudi, lasciando negli armadi gli scheletri delle armature del come voglio sembrare, lasciando nei cassetti le lenti a contatto dei pregiudizi ed i tacconi che abbiamo lasciato crescere sui nostri io, beh... sarebbe bello.

No, sarebbe meraviglioso. Tutti nudi, nudi, nudi! Tutti uguali in braccio a mamma!

***

note per la comprensione:
burella - termine affettuoso per definire la pancetta, la buzza, lo stomaco prominente.
squasso di pugnette - mucchio di pippe, di seghe (mentali) in misura industriale.
taccone - crosta spessa e coriacea, cricca, sporco

mercoledì 14 luglio 2010

Ho conosciuto Dart Maul, il diavolo.

Con i suoi occhi chiari ed il suo sorriso, é colui che uccide poco a poco chi lo ama disperatamente.

E' colui che usa, colui che fa soffrire. Colui che taglia le ali agli angeli.
Colui che prende e poi butta via, quando non gli servi più.
Colui che si nutre di polvere e nella polvere ritornerà.

Avrei voluto sputargli in faccia tutto il mio disprezzo. E sarebbe stato troppo poco. Ma non era il momento giusto, non avrebbe capito. Invece io voglio che capisca. Che capisca cosa significa uccidere l'amore che gli viene regalato senza chieder niente in cambio.

Lo farò, anche se conosco sua madre e le darò un dolore che non capirà. Ma non importa, non voglio più vedere il mio angelo piangere. Non voglio più vedere un fiore sulla corsia di sorpasso. Voglio che la maionese torni ad aver sapore, voglio che il mio angelo non prenda più sonniferi. Voglio che il mio angelo si addormenti come si addormentano i bambini. Sereni.

Voglio che i principi siano solo quelli delle favole.

Voglio che le lacrime siano solo di gioia.


Stasera é una sera bellissima, non c'é una nuvola in cielo. L'aria é calda, calma e azzurra come il fiocco che avevo alle elementari sul grembiulino nero. Tutto sembra in pace. Guardo dalla terrazza e vedo alberi, verdi e immensi, case rosse e marroni, rondini nere che volano e luci che si accendono nell'imbrunire. Quando arriverà il buio, quello vero, allora spunteranno le stelle. Le prime, le più sfrontate, le più belle, si mettono già in mostra. Presto saranno seguite da milioni di altre, più piccole e più timide, ma non meno affascinanti.

La bellezza fa da corollario ad una settimana di merda.

Venerdì G. si é impiccato, tagliandosi le ali. Ha dato un calcio alla sua vita, alle sue passioni, al suo mare, a sua figlia, a tutto. Ha lasciato dietro di sè un corpo appeso ad una corda, con i piedi che sfioravano terra.

Quando l'ho saputo é stato come ricevere un pugno nello stomaco, uno di quelli che non ti lascia respirare.

Di certo l'aveva pensata prima, ma non l'aveva detto a nessuno o nessuno l'aveva capito. Chissà, a modo suo forse aveva lanciato grida di aiuto che nessuno ha sentito e che sono ritornate al mittente, come degli schiaffi.

Una settimana prima aveva compiuto gli anni, ma siamo stati in tanti a non ricordarci di lui. E ora non abbiamo più la possibilità di farglieli, quegli auguri. Possiamo piangere una preghiera disperata verso un Dio tremendo che gli ha lasciato la libertà di andarsene, lanciando un grido doloroso che non avrà più risposta. Chi l'ha visto nella cassa, prima che la chiudessero, mi ha detto che sembrava corrucciato. Lui che sapeva ridere, e ridere forte, si porterà dietro per l'eternità il dolore dipinto sul viso. Ora c'é solo da sperare che abbia trovato la pace che cercava, finalmente.

Da ieri é in un tombino, cementato di fresco, al primo piano del cimitero nuovo. Da lì, ancora per un poco, si vede la campagna, sino a che non finiranno la nuova ala. Dopo, credo che si riuscirà a vedere solo un pezzo di cielo. Quel cielo che sembra un grande mare, quel mare che lui amava tanto.

Ho aspettato che andassero via tutti, per andare a trovarlo. Sono rimasto lì solo, bagnato di lacrime e sudore, sotto il sole di luglio. Avrei voluto rimproverargli di non averci avvisato, ma non ci sono riuscito. Mi é rimasto solo il pianto e tanto dolore per non aver capito che stava morendo a poco a poco nella nostra indifferenza. Non posso neppure scusarmi, ormai. Non posso fare nulla.

Restano solo diciotto anni di ricordi, di tutti i colori, che prima o poi svaniranno fra le pieghe della memoria, dispersi nel vuoto del tempo che passa. 

Addio G. Se puoi perdona chi non ti ha saputo capire.

sabato 8 maggio 2010


Conoscete il "Disco di Nebra"? E' la più antica rappresentazione del cielo e dei fenomeni atmosferici che sia giunta fino a noi e contiene il sole, la luna, l'alba, il tramonto, le stelle e l'ammasso stellare delle Pleiadi, le sette sorelle che ho scelto come immagine principale per il blog di Guglielmo Maria. Gli archeologi stimano che sia stato manufatto fra il 1700 ed il 2100 avanti Cristo e poi sotterrato verso il 1600 avanti Cristo, vicino alla cittadina di Nebra, nell'attuale Germania. Potrebbe avere quindi più o meno quattromila anni, ma li porta benissimo e se fosse un vecchietto sarebbe uno di quelli arzilli arzilli che gli tira ancora l'ocarina quando vedono passare una signorina in minigonna in queste belle giornate primaverili.

Mi fa sempre effetto pensare che abbia così tanti anni. E' stato costruito da un'antico essere umano... sciamano, sacerdote, poeta, sognatore, astrologo, cacciatore, contadino o chissà cosa... che passava la notte a guardare e a studiare il cielo. Io non voglio dare per scontato che sia stato un maschio, anche se uso le declinazioni al maschile, per conto mio potrebbe essere anche stata una donna, soprattutto perché le donne hanno il potere di prendere i sogni e farli diventare realtà, anche se magari non se ne rendono conto e alcune non usano mai questo dono che Dio le ha dato.

Quattromila anni fa il cielo era già come lo vediamo ora, praticamente. L'unica differenza é che si vedeva bene dappertutto, perché non c'era l'inquinamento luminoso come ora che se vuoi vedere lo splendore del cielo te ne devi andare in mezzo al deserto. Quattromila anni sono uno sputo nella storia dell'universo, un attimo, un istante, un sospiro, forse anche meno. Per un uomo invece sono un tempo impossibile da comprendere razionalmente perché ben che vada potremmo viverne consapevolmente un cinquantesimo o poco più, prima che abbiano il sopravvento i pannoloni, le malattie della vecchiaia, le badanti ed evaporino i ricordi di tutta una vita insieme alle amicizie che se ne vanno una dopo l'altra.

Chissà perché l'uomo di quattromila anni fa si fermava a studiare il cielo, cercava di capirlo e poi provava a disegnarlo su di un disco in metallo usando dell'oro per fare il sole, la luna e le stelle, l'alba ed il tramonto e la barca solare. Chissà? Forse non era solo per amore dell'arte e dell'artigianato, anzi, sicuramente non lo sarà stato. Molto più probabilmente con quel disco cercava di dare una risposta alle prime domande impossibili che gli sarà capitato di farsi, anche quattromila anni fa. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Mah, qui si va sul difficile, sul filosofico, sul religioso, sull'incasinato. Meglio, come si dice ora, by-passare ed andare oltre. Oltre all'ostacolo.

Oltre l'ostacolo ci sono le stelle, che in questo caso sono le Sette Sorelle, le Pleiadi. Di loro, quando ci va grassa, dalle nostre parti riusciamo a vederne cinque, sei o sette. Se fossimo nel mezzo del Sahara, in una notte buia e senza luna, potremmo vederne una dozzina. Invece sono un centinaio. Sono giovani, hanno solo cento milioni di anni e moriranno presto, fra solo duecentocinquanta milioni di anni, più o meno. Per l'universo sono signorine, ma destinate ad una breve vita. Secondo me sono lassù che cercano di spassarsela, per questo mi sono piaciute per il blog di Guglielmo Maria. Sono un pò quello che manca a me. Un ammasso di voglia di vivere, di piacere di godersela, di desiderio di non mettersene troppa. Le hanno raffigurate come donne, come danzatrici, come nubili, come mamme, come galline coi pulcini. Effettivamente c'é tanto di femminile nelle Pleiadi.

Mi piace che siano le mie stelle. Non é da tutti avere sette stelle fighe, che danzano nel cielo. Ovviamente si spostano, girano intorno alla Stella polare, ma si sa che se le cerchi nel cielo le riconosci alla svelta, ti sorridono sempre e ti chiedono di danzare con loro. Diceva Friedrich Nietzsche che "bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante". Averne sette, quindi non é da tutti. E' un gran casino tenerci dietro, é vero. Però, c'é gusto... la "stella danzante" é la completezza che nasce dal caos, il caos che ci dona infinite possibilità di variazioni, di cambiamenti. Guardando la vita passata, quanti sono stati i momenti di caos, le infinite combinazioni che ci hanno permesso di partorire una stella danzante?

Penso a mia figlia. E' in cucina che fa i compiti, sta recuperando due tre giorni di assenza da scuola per alcune caghette assortite. Ha bisogno del papà, ogni tanto mi viene a cercare, ogni tanto la cerco io. L'altro giorno ce ne siamo andati in giro per Gran Burrone, io e lei, mano nella mano. Un caffettino, poi in libreria, poi dal giornalaio e poi a casa. E lei con me, a giocare a quanti passi ci vogliono per attraversare tutto il portico, a guardare le vetrine della profumeria con i beauty case di Hello Kitty ed i profumi delle Winx. A spulciare fra gli scaffali della libreria i libretti di Geronimo Stilton e gli Harry Potter. Intanto io mi sono rilassato, mi sono divertito, mi sono piaciuto in quell'oretta con la mia stupenda stella danzante.

Se penso che é nata dal caos, da una irripetibile coincidenza di fattori che in quel momento stavano lì, tutti nell'ordine giusto. Un minuto prima o un minuto dopo e non sarebbe stata lei. Magari dipende anche da cosa avevamo mangiato, da come avevamo passato la giornata, la serata. Dalla voglia di fare all'amore. O da chissà che cosa. Però, in quel momento lì, un mio spermino fra milioni di spermini arriva all'ovetto, bussa e gli viene aperto. E poi nasce la vita, si sviluppa e diventa mia figlia. Proprio lei. Una stella danzante. Una delle mie stelle danzanti. Una tenera stella danzante che, un paio di volte alla settimana si accoccola vicino al papà e si addormenta, lasciandosi cullare al ritmo del battito del cuore. E quando cambia il respiro e diventa regolare io capisco che se ne é andata nel mondo dei sogni, tenendo la mano al suo papà, il caos.

Ogni giorno possiamo creare una stella danzante, una delle Sette Sorelle, una delle Pleiadi. Magari non ce ne accorgiamo, ma basta un gesto, un attimo, un sorriso, un pensiero, una preghiera, una lacrima, una supplica, un bacio. Il caos ha bisogno d'amore per trasformarsi in completezza. L'amore dell'uomo di quattromila anni fa che ha messo delle lamine d'oro su di un disco metallico, l'amore dell'uomo di oggi che, fra milioni e milioni di cambiamenti, di possibilità, di incognite, sceglie di fare qualcosa. Qualsiasi cosa, anche chiudersi in casa a piangersi addosso per settimane, finché arriva il momento che si crea una stella danzante, anche se non ce ne si accorge subito e magari la si confonde col caso, che si scrive con le stesse lettere, ma non é proprio la stessa cosa.

Infatti, niente é per caso, ma tutto é per caos. Ricordiamocelo. Teniamolo presente...

Ognuno di noi é una stella nata dal caos, cresciuta nel caos e bellissima come l'Amore.

domenica 25 aprile 2010



Oggi é il venticinque aprile. E' una giornata importante e ancora molto sentita, però visto che quest'anno casca di domenica e non siamo in campagna elettorale ce ne si accorge un po' meno e poi la gente é dispiaciuta e un pò scocciata perché non c'é il ponte e tocca lavorare tutti i giorni. Sono tantissimi anni che siamo stati liberati, moltissimi anni. Io non c'ero ancora e gli atomi che ora mi compongono chissà dov'erano allora? Erano atomi da guerra, forse, oppure atomi da libertà? Oppure, semplicemente, atomi e basta, solo piccoli pezzetti di materia. Più probabile quest'ultima, come ipotesi, perché gli atomi, checché se ne dica, non sono né bene né male ma sono. Poi dipende da come si usano, ma questo é un'altro discorso.

Siccome oggi é la festa della Liberazione ed io ho deciso di vivere alla giornata ho deciso di fare un elenchino delle cose dalle quali mi piacerebbe essere liberato. Quindi, per prima cosa, ci vuole una premessa fondamentale ai fini del ragionamento e cioé chiedersi se "essere liberato" o "liberarsi da solo"? Questa é una bella domanda, da farsi, ad esempio se vogliamo un po' di consapevolezza sulla questione, quando stai spingendo e ti vengono le vene del collo grosse come calippi seduto tutto compresso sulla tazzona del cesso. In questo caso sei tu che ti liberi oppure é lei, la cacca, che ti libera andandosene giù per il tubo? Ci sarebbe da pensarci su, da fare qualche elucubrazione, qualche volo intellettuale alla Topo Gigio. Ma cosa dici mai? Che filosofia di merda.

Comunque, meglio tenersi strette entrambe le opzioni, perché, come dicevano i nostri antenati "melius abundare quam deficere" e, poi, "aiutati che Dio ti aiuta". Non scartiamo perciò nessuna provvidenza, sia che arrivi da noi, sia che venga dagli altri, sia che scenda da Dio, sia che siano i Confetti Falqui. Non si sa mai, una mano aiuta l'altra, é come per le tessere del domino che, sono in piedi una affianco all'altra per milioni e milioni di chilometri e basta che tu dia un colpo alla prima, spingendola nella giusta direzione, che poi, una dopo l'altra, si ribaltano tutte, per tutti i milioni e milioni di chilometri, da qui alla felicità. Allora, mi vien da dire, se le cose da cui vogliamo esser liberati sono lì come le tessere del domino e diventano un muro che ci circonda, quello che importa é il primo colpo, dato nella giusta direzione. Il primo punto é che la verità sta nel mezzo, "in medio stat virtus", anche se il primo colpo lo devi dare tu.

Sei tu, cioé, sono io, che devo decidere di dare il primo colpo alle tessere del domino che mi circondano. Nessuno lo potrà fare se non tu, cioé io. Il problema vero è che non sappiamo quanto lungo sia, questo muro costruito con le tessere del domino. Quattro metri, che ci gira intorno e basta? Quaranta metri, che ci gira intorno, ma fitto fitto. Quaranta chilometri, quaranta milioni di chilometri, quaranta infiniti? Non lo sappiamo, se lo sapessimo l'avremmo già superato, con un  salto. Anche se ci mettiamo lì a contarle, le tessere del domino, non riusciamo proprio. Perché loro sono grandi come il muro di Berlino e noi siamo piccolini come formichine, siamo formichine. Non avendo idea di quante siano, queste benedette tessere del domino, i modi per affrontare la questione si riducono a tre.

Il primo modo é concentrarsi su noi stessi finché, miracolo, non ci spuntano le ali, sperando nell'aiuto di qualche santo. Quando e se ci saranno spuntate le ali, ci potremo alzare in volo e, a meno che il muro non sia veramente ma veramente alto, forse potremo arrivare in cima e vedere quanto é grande il muro, quanto ci circonda e che cosa c'è intorno. Posto che abbiamo gli occhi per guardare e la voglia di farlo. Potremo anche scoprire che non riusciamo a vederne la fine. In questo caso, torneremo giù ad abbandonarci ai più cupi pensieri o proveremo a volare, volare, volare, verso qualche parte ignota del mondo? E se il mondo ignoto ci fa paura? Torniamo giù, ripieghiamo le ali, tanto non ce la faremo mai, e ci costruiamo un riparo sicuro circondati dalle nostre tessere del domino. Così rimaniamo noi, con le nostre alette, che non vogliamo usare e con la nostra paura di ciò che ci circonda. Circondati dalle tessere del domino.

Il secondo modo é dare una spallata alla prima tessera del domino, quella più vicina a noi. Anche una spallata con la forza di una formichina può abbattere la tessera del domino più grande del mondo, basta volerlo fare. E poi sedersi a guardare le tessere del domino che una dopo l'altra, una colpita dall'altra si ribaltano e cadono. E noi seduti a guardare questo spettacolo affascinante che ci allarga l'orizzonte. E noi seduti a guardare l'orologio e a pensare, dopo un ora, ma quante cazzo sono queste tessere del domino. E noi seduti a guardare e a romperci un po' le balle, perché continuano a cadere tessere da tutte le parti e non finiscono più. E noi seduti a guardare con un poco di rassegnazione, dopo una settimana che cadono tessere del domino, che sono talmente enormi che ci mettono molto tempo. E noi seduti a guardare tutte le tessere cadute e il paesaggio che non cambia mai, tante sono le tessere da buttar giù e noi che pensiamo si stava meglio quando si stava peggio almeno avevamo dei punti di riferimento, con il mio muro e non questa landa desolata di tessere del domino cadute rovinosamente e che non finiscono mai. E noi seduti a guardare, anche se non vediamo più nulla perché é scesa di nuovo la sera e abbiamo gli occhi pieni di pianto perché ci aspettavamo che non fossero così tante e così immense e così lente a cascar giù. Così rimaniamo noi e le nostre aspettative insoddisfatte a farci compagnia. Nelle rovine.

Il terzo modo inizia quando smettiamo di farci crescere le ali e smettiamo di pensare che in due giorni riusciamo a ribaltare tutte le tessere del domino del mondo e ci diamo qualche obiettivo, facciamo la nostra lista della spesa delle cose dalle quali vogliamo liberarci o essere liberati in questo venticinque aprile. Cioé oggi, ora, adesso, in questo preciso istante. Che magari potrebbe anche essere il sette ottobre o il quattro febbraio o il ventiquattro giugno, ma il giorno non conta. Non conta che sia "questa" giornata, conta che le nostre giornate le viviamo come le giornate della Libertà, una dopo l'altra. La Libertà dalle barriere, la Libertà dalle aspettative, la Libertà dai muri che ci costruiamo, dalle tessere del domino che sistemiamo perché siamo delle piccole Penelopi. Di giorno costruiamo i muri che ci circondano e scolpiamo le tessere del domino nel legno più duro della terra e di notte sognamo di buttarle giù e ci svegliamo con qualche tessera in meno che prontamente provvediamo a sostituire, senza perder tempo. Lasciamo spazio ai sogni, anche nelle veglie di tutti i giorni.

E le cose da cui voglio liberarmi o essere liberato? E' tutto? E' niente? Dov'é il block notes, che me le scrivo?

Non lo trovo, devo ricordarmele a mente. Vorrei, vorrei, no, voglio liberarmi di... no, in realtà, questo no. Allora é meglio iniziare da quando mi comporto così... ma, invece non sarebbe meglio cominciare con... ma, poi mi aiuta veramente, non sarebbe più utile pensare che sia più utile fare in questo modo e metter ordine, ma se prima non tolgo questa parte di me stesso, questo modo di pensare non riuscirò proprio a fare così e... credo sia più opportuno mettersi lì, sulla cima di una montagna a pensare... ma cosa voglio dalla vita e cosa posso dare e... accidenti, quella cosa mi serve, allora, meno male che non l'ho buttata via, non me ne sono liberato. Però, Gesù mio, a qualcosa devo pensare dopo che ho scritto tutto questo tempo, non vorrò mica averlo buttato via, tutti questi discorsi, questi pensieri, questo guardarsi dentro e fuori...

Beh, se devo dirne una, vorrei cagare senza sforzo. Punto.

giovedì 22 aprile 2010

Sto morendo dentro. Ogni giorno un poco, divorato da questo male buio e difficile che si chiama depressione. Il mio medico di famiglia mi dice che la mia é una depressione endogena, una depressione, cioé, che viene dall'interno di me stesso e non é scatenata da fattori esterni, tipo un lutto, la perdita del lavoro o cose così, cose gravi che ti colpiscono da fuori. E' qualcosa che porto dentro di me, che in me vive, che in me si alimenta e che ogni tanto, a tradimento, mi colpisce e mi lascia a terra stramazzante. E' una sorta di lato oscuro del mio essere uomo, adulto, bambino che di tanto in tanto si rifà vivo, facendomi chiudere le porte che mi collegano al mondo.

E' una cosa difficile da spiegare, ma ancora più difficile da capire se non la si é, in qualche maniera vissuta. La depressione, almeno una come la mia, vista da fuori, vista dagli altri, sembra inspiegabile. Lo dico per esperienza, perché io stesso non riuscivo a capire come mai in persone nel fiore degli anni, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, senza problemi apparenti, si era spenta la voglia di vivere davanti ai miei occhi, così, senza ragioni visibili. Quando mi é successo di vedere da fuori queste cose, voglio dire quando é successo a me di esserne spettatore, non avendo capito una beata minchia di cosa stava succedendo, ho avuto nei confronti di queste persone un'atteggiamento che mi portava a pensare che fossero dei falliti, dei derelitti. Ho fatto quindi due cose, principalmente: gli ho giudicati e mi sono giudicato, dicendomi che a me cose del genere non sarebbero mai capitate. E questi sono due grandi sbagli. Dagli sbagli si deve e si può imparare, ovviamente, ma bisogna avere l'umiltà per farlo. E farlo subito o almeno prima possibile.

Fra i primi errori che ho commesso uno é stato quello di credermi immune. Io, nonostante una autostima molto bassa che avevo di me stesso, mi sono sempre pensato invece come un essere avvolto da una sorta di magica armatura che non avrebbe permesso alle malattie del mondo di farsi strada dentro di me. Quando parlo di primi errori non ne faccio una scaletta temporale, non vuol dire che siano sbagli commessi molti anni fa o all'inizio della mia vita, ma significa semplicemente che sono i primi in ordine di importanza, almeno secondo una mia personale classificazione. Il fatto di credermi immune, di credermi superiore a certe cose, in qualche modo non mi ha permesso di costruirmi delle difese, di prepararmi a ciò che sarebbe successo, ma mi ha lasciato nudo ad affrontare un esercito di fantasmi armati di tutto punto. Se trovavo, ad esempio, in un giornale, in una rivista, in televisione, un articolo o una trasmissione che parlava della depressione la saltavo a pié pari perché non faceva parte della mia vita e non me ne interessava, giudicando che non fosse importante.

Giudicare gli altri fa parte della stessa famiglia di cazzate, visto che il metro di paragone siamo sempre noi stessi. Se io giudico un'altra persona, ovviamente non posso prescindere da me stesso. E' come guardare due foto, una mia e una dell'altro o altra che sia. Confronti i vestiti, i sorrisi, il modo di porsi, lo sguardo, i capelli, le scarpe, la macchina e via pian piano tutto quello che é differente e visibile agli occhi. Il giudizio nasce partendo da impressioni, da cose leggere, di superficie, dalle prime cose visibili. Giudicando perdi la voglia e la forza di scavare dentro le altre persone, perdi l'abitudine a cercare di comprendere veramente come sono e ti limiti al come sembrano. Il guaio é che, contemporaneamente, fai esattamente lo stesso con te stesso. Ti limiti quindi alla superficie e perdi o non trovi mai la forza per andare a capire cosa c'é sotto al visibile. Laggiù dove sei nudo, dove sei te stesso e basta. E così perdendo di vista gli altri perdi di vista anche te stesso e questo é un'altro grande sbaglio.

Arriva, credo per tutti, un momento a partire dal quale la nostra vita inizia a correre velocemente e facciamo sempre più fatica a tenerla sotto controllo. A me é capitato così, ma penso che sia abbastanza comune. E' stato quando ho iniziato a lavorare, ad uscire di casa, a vivere in un'altra città, ad avere una donna con la quale condividere un progetto di vita, avere una figlia, diventare adulto. La velleità di tenere tutto sotto controllo senza avere una linea guida, una coerenza, chiamiamola così. Ha poca importanza che questo sia successo a venticinque, trentacinque o quarantacinque anni. Ma arriva un momento nel quale inizi, piano piano, quasi senza accorgertene, poi a riannodare tutti quei fili dispersi di cui é composta la tua vita e ti rendi conto, almeno nel mio caso é successo così, che concretamente molti di quei fili che credevi di tenere saldamente fra le mani, le redini della mia vita, in realtà se ne andavano per i cavoli loro. Dove volevano. Ed io con loro, naturalmente. Io andavo accorgendomi di non andare dove volevo ma dove la vita, intesa come tutto ciò che ti sta intorno, mi portava.

Ad un certo punto mi sono reso conto, quindi che la vita mi aveva portato dove voleva lei e non dove volessi andare veramente io. Quasi mai puoi tornare indietro, il tempo é passato, le cose sono successe e non si ripresentano più occasioni di poterle rifare diversamente. Allora inizi a fare il conto dei bivi attraverso i quali sei passato e ripercorri le scelte fatte e ti accorgi che, molto spesso, le scelte fatte sono state delle non-scelte, i mali minori, le convenienze del momento e molte di quelle cazzate lì. Nel mio caso questo é stato per me destabilizzante perché mi sono scoperto nella realtà non dove sarei voluto essere, non come sarei voluto essere, perché, forse, avrei voluto essere diverso. E un primo pensiero negativo ti fa strada nella testa, iniziando un percorso che va ad attraversare i momenti di disagio che avevo provato negli anni precedenti, le scontentezze, i dubbi, le indecisioni e tutto quel genere di cose a cui non avevo fatto molto caso, ma che adesso iniziavano a rimbombare come in una cassa di risonanza.

E poi ti rendi conto, quale orrore, di non conoscerti come veramente sei e questo ti mette addosso una inquietudine bestiale. Almeno a me, credo sia successo così. Ti guardi allo specchio una mattina e ti vedi come se tu non ti fossi visto da tanti anni. Ti vedi diverso. Ti spaventi, non ti riconosci. E ti chiedi se sei tu, quella persona che vedi riflessa nello specchio. E capisci che, se non riconosci l'apparente, chissà come mai ti potrà apparire ciò che non si vede, la tua vera anima, il tuo vero io, la tua essenza. Allora, fondamentalmente, hai due strade da percorrere. Una difficile, in salita, fatta di elementi da capire, di cose di cui prendersi carico, di momenti da analizzare, di comportamenti per i quali darsi quanto meno una ragione e collocarli dentro uno schema, che sei tu stesso, che va ricostruito o quanto meno razionalizzato, per poi alla fine essere in qualche modo accettato, condiviso. La seconda, più facile, é quella di spazzare tutti i pensieri sotto al tappeto, nasconderli ed andare avanti come se nulla fosse, allontanandoti ancora di più da te stesso e da chi ti sta vicini giorno dopo giorno. Un bivio, ancora una volta.

In realtà ve ne sarebbe una terza di strada, ma di questa te ne rendi conto dopo, dopo che hai percorso le prime due. Nell'ordine io le ho percorse tutte due, le strade che portano in nessun posto o nel posto sbagliato. Per prima cosa ho messo tonnellate di polvere sotto al tappeto, milioni di pensieri dentro i cassetti, dietro le porte, persino nell'anima dei rotoli di carta igienica. Ho nascosto tutto ciò che non mi piaceva, ho fatto finta che non esistesse nulla al di là di ciò che volevo credere di volere. Continuare a vivere come se niente fosse, se la malinconia non esistesse, andando al di sopra delle righe. Ci sono molti modi per andare al di sopra delle righe, ognuno ha i suoi e credo che non sia importante farne una classificazione, perché ognuno di noi ha le sue strategie per mentirsi e per tradirsi. Chiaramente questa strada ti porta nel posto sbagliato, i pensieri negativi che si insinuano nella nostra mente continuano ad insediarsi e a prendere spazio. Piano piano, fino a che non crolli e non hai più spazio, dentro di te, dove nascondere ciò che non vuoi. E nel frattempo, comunque, non sei te stesso, neppure con te stesso.

Allora prendi la seconda strada, quella della razionalizzazione, della catalogazione, quella del cervello. Un percorso così faticoso, da archivista, che, purtroppo, non ti porta in nessun posto. E' inutile ricollocare il passato se non pensi all'oggi. Dopo milioni di anni che lo fai ti rendi conto che provi a dare delle risposte razionali a problemi che razionali non sono, che é come se tu cambiassi la disposizione dei mobili in casa solo perché i mobili ti fanno schifo. Ma un divano che fa schifo davanti alla televisione ti continua a far schifo anche se lo metti sotto la finestra. Il problema non é dove é il divano, ma il divano stesso. Se non lo cambi lo puoi mettere dove vuoi ma ti continuerà a far cagare. Lo stesso con noi stessi. Invece di nasconderci, proviamo a cambarci. Cambiamo look, cambiamo interessi, ci iscriviamo in palestra, ai corsi di inglese, andiamo ad un happy hour, frequentiamo gente nuova, facciamo qualsiasi cosa, pensando bene a cosa fare e come farlo, ma in fin dei conti siamo sempre noi, con le nostre facce sconosciute anche a noi stessi. Questa seconda strada é una sorta di regressione. Far finta di essere diversi, ma con l'ardire di volere essere noi a condurre la danza della diversità, anziché farcela condurre dalla vita. Ma é poi così diverso veramente?

Così, in quanto tempo e per quanto tempo non conta, ho percorso queste due vie che non portano in nessun posto, che non portano verso me stesso, ad una vera consapevolezza di cosa sono e di cosa vorrei essere. Sono strade che non hanno nome, come nel pezzo degli U2, strade che non portano da nessuna parte. Non ha nessuna importanza per quanto tempo percorri queste vie senza nome, un giorno o un secolo sono comunque troppo, l'importante é che a un certo punto ti fermi e ti chiedi dove vai, cosa stai facendo e chi c'é con te, soprattutto se ci sei tu o ancora un altro al tuo posto. Finché percorri le vie senza nome in pratica muori dentro ogni giorno un poco di più e io sto morendo dentro ogni giorno un poco. Sto morendo nascondendomi o schematizzandomi. Sono due facce della stessa medaglia.

L'altra strada, la terza, é quella del prendere atto e del vedersi come si é e non come ci si vorrebbe vedere, E' la strada che rifiuta il nascondino e gli schematismi, la strada dove qualcuno ti prende per mano e ti guida fuori dalle strade senza nome. Dove quel qualcuno che ti prende per mano alla fine non può essere che te stesso.

La prima cosa é chiedere aiuto. Rendersi conto di avere bisogno di aiuto e chiedere aiuto é un passo enorme come l'universo. Almeno per me é così. Nonostante siano anni che chiedo aiuto, subliminalmente o esplicitamente, farlo consapevolmente é tutta un'altra cosa. E' essere umili, non essere deboli. Chiedere aiuto non é un segno di debolezza, ma di forza. Si fa molta fatica a chiedere aiuto. Ci si vergogna, ma non ci si dovrebbe vergognare. Bisogna forzarsi un poco all'inizio, ma se ti trovi nel labirinto delle strade senza nome e non si hanno punti di riferimento, allora l'unica cosa é trovarne. Bisogna sforzarsi di trovare questi punti di riferimento, che, per forza di cose e per la loro essenza, sono fuori di te. Sono fuori dalla mente che vaga nelle strade senza nome. Sono altro, é Dio, sono gli angeli, sono gli amici, sono i professionisti, sono le medicine, sono le persone che ti amano, sono tutto quello che ti può far vedere le cose con occhi diversi, visto che i tuoi occhi si sono abituati alle facili e difficili rutilanti luci delle strade che non vanno da nessuna parte.

Sono come il binario nove e tre quarti di Harry Potter, che é lì, ma gli occhi abituati ed abitudinari dei passeggeri normali dei treni della vita, quei treni che non vanno in nessun posto, non riescono a vedere, né tanto meno trovare. Magari sanno che esiste, forse, ma senza qualcuno che ti aiuti a capire come si fa non possono arrivarci. Oh, non é che una volta che hai trovato il binario nove e tre quarti tu poi sappia ritrovarlo ogni volta. La depressione é come l'ottovolante di Mirabilandia, va e viene. E comanda lei. Io credo che la depressione sia uno stato mentale, una forma, un vestito, un bozzolo. Non é che se la capisci la eviti, riesci a non farti trovare e smetti di morire un poco ogni giorno. Purtroppo non è così e non sarà così. Te la porterai dietro tutta la vita e farà parte del tuo bagaglio di esperienza, di conoscenza e di consapevolezza e non ti lascerà mai. Il che non é sostanzialmente negativo, a patto di essere sempre te stesso.

Cosa c'é di meglio di aver provato la fame per comprendere quanto é bello mangiare, quanto é buono mangiare e quanto é utile dividere il mangiare con qualcun altro. Cosa c'é di meglio di aver provato la sete per essere consapevoli di cosa significa bere, di cosa significa darsi la vita, darsi la possibilità di vivere. Cosa c'é di meglio di essere stati depressi per godersi un raggio di sole, per dare valore a quelle piccole e grandi cose che la vita ci mette a disposizione. Anzi, nel momento in cui non mi dovessi più accorgere di quanto é bella la vita, vorrei urlare benvenuta a te depressione che mi fai star male ma che poi mi fai capire di quanto è meraviglioso ciò che mi circonda. L'importante é avere se stessi, essere se stessi. Essere ciò che si vuole essere, non essere ciò che il mondo ti porta ad essere. Avendo sempre presente che cosa si é e di che cosa si ha bisogno. Cioé di niente, a pensarci bene.

Io sto morendo dentro, ogni giorno un poco. A pensarci bene ne dovrei essere felice, perché la mia vita, quella che rimane, acquista significato, acquista valore. Sto difendendo la mia vita, me stesso, con le unghie e coi denti, anche se sono tanto debole. Ma più sono debole e più probabilmente sono forte, più sono umile e più sono forte. Più per il mondo sono sfigato più io mi sento rinforzato. Più ho i miei cari, più ho i miei amici, più ho persone da amare e meglio sto. Anche se mi costa passare attraverso un pezzo di morte, tutti i giorni.

Io non sono il mondo, io sono Guglielmo Maria.

E voglio bene a me, mi amo, con tutti i miei difetti. E voglio bene, amo, tutte le persone che mi stanno vicino e hanno anche la pazienza ed il coraggio di aiutarmi, ognuno a suo modo. E se io non perdono me stesso, nel senso di perdonare non di perdere, perdono tutti, nel senso di perdere e non di perdonare. Tutti quelli che mi hanno fatto del male ma che grazie a quel male mi hanno fatto capire cosa c'é di veramente importante nella mia vita, mi hanno reso più consapevole. Più umano, meno automatico, meno falso, meno schematizzato. E tutte le volte che la vita mi fa salire sull'ottovolante della depressione e mi fa star male, dopo ogni giro penso che ne uscirò rafforzato e più é dura e più ne uscirò forte.

Aiuto, ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto per poter dare aiuto. Ora più che mai.

Un'abbraccio universale a tutti quelli che sono arrivati fin qui, con me o che ci arriveranno. Prima o poi.

Si può solo migliorare.

martedì 20 aprile 2010

Avviso ai naviganti: questo post potrebbe essere vietato ai minori. Il contenuto, comunque, é rigorosamente vero. GM

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Poco fa, razzolando nel mio account di Shinystat, il contatore web che mi dà qualche statistica gratuita relativa al blog, ho trovato delle cosette carine che riguardano chi capita qui per caso. Siccome durante la settimana disgraziata che é appena finita non ho avuto una gran vena di "scrittore" e mi si é rinsecchita un pò l'ispirazione, per colpa di alcune sfortunate circostanze che non vogliono saperne di passare, queste cosette bizzarre mi danno il destro per scrivere qualcosa per tener vivo il blog in modo istruttivo e curioso. Istruttivo e curioso per me che tengo il blog, ovviamente. Ma, forse, anche per chi lo legge.


Fra le statistiche disponibili nel contatore web, sappiate o voi che leggete, ci sono anche le chiavi di ricerca che sono state utilizzate, ad esempio, in un motore tipo Google o Yahoo e attraverso le quali qualcuno, che non viene comunque identificato, arriva a queste pagine. La chiave di ricerca più utilizzata - a pari merito con un'altra di cui parlerò un pò più avanti nel post - é semplicemente "Guglielmo Maria". Vuol dire che digitando il mio nome e e facendo la ricerca, fra i risultati compare, evidentemente, anche l'indirizzo del blog. Sarà stato magari per pura curiosità che qualcuno abbia poi cliccato sul link e abbia fatto l'accesso al blog. L'alternativa sarebbe che questi soggetti mi abbiano sognato di notte e che poi mi abbiano cercato su Google di giorno. Ma non ci credo molto, mi sembra molto fantascientifico, anche se un tantino affascinante. Comunque ben due persone sono arrivate qui, digitando "Guglielmo Maria", e tant'é.


Una terza persona ha cercato "il diario di Guglielmo Maria", quindi voleva trovare proprio questo blog, credo. Strano, ma vero. Forse sarà stato il passaparola e la cosa in fondo non mi dispiace.


Una quarta persona ha cercato "una giornata senza pretese recensione" e sicuramente si riferiva alla canzone di Vinicio Capossela da me citata in uno dei post. Immagino la delusione di chi, anziché trovare un parere illuminato di un critico musicale, si é trovato davanti ad uno dei miei sproloqui. Pazienza, nonostante lo choc sarà sopravvissuto, ci saranno delusioni più grandi, nella vita.


La quinta persona cercava "Maria Guglielmo psicologa" e chissà perché, poi ha cliccato sul link del blog. Mi auguro che avesse bisogno di un pò di ironia da sciogliere su una depressione. Chissà se sono riuscito a strapparle almeno un sorriso. Del tutto gratuito, in questo caso. Qui non si va a tariffa, offro io.


Una sesta persona mi ha trovato digitando una frase poetica come "ho sognato dei fiori bellini di un bel rosso". Per mettere due volte la bellezza in una frase sola evidentemente la cercava proprio. Chissà cosa aveva fumato.


Una settima persona ha cercato "vecchia signora dai fianchi un pò molli ama vestirsi di vento e di sole". Se quella di prima si era fatta una canna normale questa si é fatta una ciminiera intera. Non oso infatti pensare ad una perversione sessuale del tipo mi piacciono le anziane flaccide nude nei campi che prendono il sole mentre tira il vento... meglio dare la colpa al fumo, và.


L'ottava, la nona, la decima e l'undicesima persona hanno fatto ricerche nel campo medico sanitario, con qualche lieve accenno, anche qui, di probabile perversione sessuale. Le chiavi di ricerca usate da questi  soggetti sono state "fortissimi pruriti alle caviglie e polpacci", che ci stà, "dermatologa vergogna" che ci stà anche questa (l'ho provata personalmente) e, udite udite, "senza mutande dalla dermatologa". Quest'ultima chiave é stata usata ben due volte, come "Guglielmo Maria". Delle due, l'una. O era la stessa persona che non convinta ci riprovava, oppure più soggetti sono alla ricerca di un incontro senza mutande con una dermatologa. Vista l'ampiezza statistica del campione la cosa non mi lascia proprio indifferente. Per le dermatologhe, ovviamente, ma anche per le malattie veneree.


La dodicesima persona poteva essere un buongustaio, uno chef in cerca di ispirazione o qualcuno che voleva prendere l'amante per la gola. E' arrivata qui digitando "come si fa il salmì con la milza". Non so spiegarmi come un motore di ricerca abbia potuto portarla su questo blog. E'vero che ho nominato in un post la milza, ma il salmì mai. Tra l'altro, solo a pensarci, la milza in salmì mi fa un pò schifo.


La tredicesima é probabilmente una vera assatanata, maschio o femmina che sia.


Qui dovrei fermarmi e mettere un'avvertenza del tipo "attenzione la lettura potrebbe urtare la vostra sensibilità. Se volete proseguite fatelo a vostro rischio e pericolo bla bla bla".


Quando ho letto l'ultima chiave di ricerca non volevo crederci, ma qualcuno ha cliccato il mio blog per trovare "foto porno di donne che si infilano una mano nella vagina"...


Vai tu a fidarti di Google.