Guglielmo Maria

Guglielmo Maria
Le Sette Sorelle

lunedì 12 aprile 2010

Domande, risposte. Domande, risposte. Domande? Risposte? Oggi ho l'umore in fibrillazione, va giù, va su, torna giù, resta giù, poi s'innalza, rotea attorno ad un punto, vola, si abbassa, plana, sembra che atterri, atterra, si posa, prende la rincorsa, salta, apre le ali, vola, cade. Ahi! Son caduto dall'alto. Cavolo! Che sberla...

E' incredibile davvero, che sensazione, non c'é un attimo di respiro, si salta come un canguro, sembra un ottovolante. Sembra il Katun a Mirabilandia, si parte, si alza, pian piano raggiunge la cima, si ferma, respira, si lancia, si butta, prende velocità, si arrotola, si rigira, si rigira ancora, sembra che si alzi invece si abbassa, sfiora la terra. E si rialza, si rilancia, si ricicla. Così, in una sequenza senza fine, senza giorno e senza notte, senza pace, come un cavatappi, gira. Frulla, rimbalza, prende, parte, torna, va, rimane. E non sei neanche legato, sei senza cintura di sicurezza. Aiuto!

Il mio umore oggi é una cosa misteriosa, che segue leggi tutte sue, indifferenti al resto del mondo e, quel che é peggio, sconosciute anche a me che mi faccio trascinare come un pupazzo, come una banderuola, come una girella che ci indica da che parte soffia il vento, come una vela che si gonfia, si sgonfia, si rialza, si riabbassa, si sistema e si perde. Il mio umore é come il cuore e non viene comandato dal cervello, anche se dal cervello nasce. E, nel cervello, muore. E rinasce, e rimuore, come un serpente che si morde la coda. A forza di mordersi, morde anche se stesso e si mangia. Tremendo... e se ci penso sto tremando.

Guardami, mi vedi con i piedi al posto della testa, con lo stomaco al posto del cuore.

Il bello é che quando l'umore vuole, si fa notare. Allora ti chiama, si mette davanti, si mette in posa, si impegna. Sorride. Apre le braccia, richiama, gioca.

Il bello é che anche quando non vuole si fa notare lo stesso, ma lo fa con le lacrime. Saranno le lacrime, sarà il sale che mi entra in bocca a risvegliarmi. Sarà l'amaro delle lacrime a darmi uno scossone, a dirmi che non si può andare avanti così. Eppure c'è una sorta di autocompiacimento, una sorta di autocompiangimento, una sorta di autocomponimento. Un pianto. Oppure un canto? Tutto fa rima, tutto torna, tutto rinasce, tutto risorge. Per poi ricadere nella palude, nella nebbia, nella stagnazione dei desideri, nelle veglie notturne, nei pensieri che si attorcigliano, uno sull'altro, uno dentro l'altro, uno sopra l'altro, in una spirale senza fine, come le vertigini che mi prendono, mi scuotono e poi mi lasciano lì, esattamente dov'ero.

Tutta questa fatica per non muoversi di un millesimo di millimetro, di un miliardesimo di infinitesimo di movimento? Tutta questa fatica per partire e ritornare, per muoversi verso qualcosa e poi scoprire di non essersi spostati neanche di un micron. Possibile? Possibile che l'esperienza non insegni, che le forze che ti prendono non riesci ad interpretarle, come i battiti del cuore che il cervello non governa. Che il cervello non spiega, che se prova a tradurle, a renderle leggibili diventano così impossibili da capire? Cosa c'é che non funziona, che non va, che non si rende esplicito o quanto meno un pò leggibile? Ma perché, perché dobbiamo sempre voler dare una spiegazione a tutto? O, quantomeno, ci proviamo e se non ci riusciamo ci sentiamo monchi, incompleti e stanchi, perché é una gran fatica, come si diceva.

Allora mi chiedo quale sarebbe il mio sogno, il mio desiderio, come sarebbe la mia vita, come vorrei che fosse. Un poco più semplice, un poco più netta, certamente più stupida, ma senza grigi, senza variazioni di colore, senza intermedi. Meno sensibile, più sciocca, forse. Meno convulsa, più lineare. Ne ho colpa io se sono fatto così? Forse sì. Forse no. Bella domanda, bel modo di passare il tempo, bel modo di buttare il tempo. Non sarebbe molto più facile dire che me ne frego? Potrei fregarmene veramente? Perché dietro ad ogni domanda non c'é mai una risposta ma delle altre domande? Eh già, perché?

Prendersi il tempo per andare a trovare un amico, parlare con qualcuno che ti ascolti, rilassarsi, stare a cuore aperto. Magari mettersi lì a chiaccherare con un'amica, di cose così, non importanti, ma fondamentali. Passare una giornata a far finta di essere un turista, in giro per la città, godersi l'attimo, parlando inglese, come suggeriva Lucio Battisti, seduti al tavolino di un caffé all'aperto. Perché... pensare sempre al dopo, conviene? E pensare sempre al prima, ha qualche ragion d'essere? Tanto stiamo qui, ora, così. Che casino, che confusione. O mio povero cervello, o mio povero cuore. Un giorno smetterò di pensare, pensare, pensare. Sarà la pace o l'oblio? Chissà, cuore mio.  Sarà la pace o l'oblio? Chissà, cervello mio. Chissà, povero me, chissà. Chi lo sa, da che parte va, il mio umore?

C'é tranquillità da qualche parte dentro me? C'é un rifugio per me che sono stanco, tanto stanco? Vorrei aprire le ali e volar via, volar sul mondo e vedere le cose da lontano, così che tutto sembri piccolo, compreso il mio cuore. Lui é la cosa più piccola dell'universo ma batte e fa tanto rumore come mille atomiche, brilla e fa tanta luce come mille stelle. Se mi allontano, se lo guardo da lontano tutto sembra si rimetta a posto, come i pezzi di un rompicapo, come i troppi pensieri confusi, come i granelli di sabbia che se sei piccolo ti sembrano tanti mondi ma che se sei enorme le stringi nel pugno della mano e li fai volar via, lanciandoli in aria. Ecco.

Un bel respiro e soffiamoli via, come foglie al vento, tutti questi pensieri stronzi. E proviamoci, a godercela, questa vita, che é l'unica che abbiamo. Ci vuole tanto?

Mi sa di no, ma anche di sì... che confusione.

Oggi, é proprio un gran casino, ma domani sarà diverso... domani apro le ali e volo via, me lo prometto.

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