Guglielmo Maria

Guglielmo Maria
Le Sette Sorelle

giovedì 22 aprile 2010

Sto morendo dentro. Ogni giorno un poco, divorato da questo male buio e difficile che si chiama depressione. Il mio medico di famiglia mi dice che la mia é una depressione endogena, una depressione, cioé, che viene dall'interno di me stesso e non é scatenata da fattori esterni, tipo un lutto, la perdita del lavoro o cose così, cose gravi che ti colpiscono da fuori. E' qualcosa che porto dentro di me, che in me vive, che in me si alimenta e che ogni tanto, a tradimento, mi colpisce e mi lascia a terra stramazzante. E' una sorta di lato oscuro del mio essere uomo, adulto, bambino che di tanto in tanto si rifà vivo, facendomi chiudere le porte che mi collegano al mondo.

E' una cosa difficile da spiegare, ma ancora più difficile da capire se non la si é, in qualche maniera vissuta. La depressione, almeno una come la mia, vista da fuori, vista dagli altri, sembra inspiegabile. Lo dico per esperienza, perché io stesso non riuscivo a capire come mai in persone nel fiore degli anni, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, senza problemi apparenti, si era spenta la voglia di vivere davanti ai miei occhi, così, senza ragioni visibili. Quando mi é successo di vedere da fuori queste cose, voglio dire quando é successo a me di esserne spettatore, non avendo capito una beata minchia di cosa stava succedendo, ho avuto nei confronti di queste persone un'atteggiamento che mi portava a pensare che fossero dei falliti, dei derelitti. Ho fatto quindi due cose, principalmente: gli ho giudicati e mi sono giudicato, dicendomi che a me cose del genere non sarebbero mai capitate. E questi sono due grandi sbagli. Dagli sbagli si deve e si può imparare, ovviamente, ma bisogna avere l'umiltà per farlo. E farlo subito o almeno prima possibile.

Fra i primi errori che ho commesso uno é stato quello di credermi immune. Io, nonostante una autostima molto bassa che avevo di me stesso, mi sono sempre pensato invece come un essere avvolto da una sorta di magica armatura che non avrebbe permesso alle malattie del mondo di farsi strada dentro di me. Quando parlo di primi errori non ne faccio una scaletta temporale, non vuol dire che siano sbagli commessi molti anni fa o all'inizio della mia vita, ma significa semplicemente che sono i primi in ordine di importanza, almeno secondo una mia personale classificazione. Il fatto di credermi immune, di credermi superiore a certe cose, in qualche modo non mi ha permesso di costruirmi delle difese, di prepararmi a ciò che sarebbe successo, ma mi ha lasciato nudo ad affrontare un esercito di fantasmi armati di tutto punto. Se trovavo, ad esempio, in un giornale, in una rivista, in televisione, un articolo o una trasmissione che parlava della depressione la saltavo a pié pari perché non faceva parte della mia vita e non me ne interessava, giudicando che non fosse importante.

Giudicare gli altri fa parte della stessa famiglia di cazzate, visto che il metro di paragone siamo sempre noi stessi. Se io giudico un'altra persona, ovviamente non posso prescindere da me stesso. E' come guardare due foto, una mia e una dell'altro o altra che sia. Confronti i vestiti, i sorrisi, il modo di porsi, lo sguardo, i capelli, le scarpe, la macchina e via pian piano tutto quello che é differente e visibile agli occhi. Il giudizio nasce partendo da impressioni, da cose leggere, di superficie, dalle prime cose visibili. Giudicando perdi la voglia e la forza di scavare dentro le altre persone, perdi l'abitudine a cercare di comprendere veramente come sono e ti limiti al come sembrano. Il guaio é che, contemporaneamente, fai esattamente lo stesso con te stesso. Ti limiti quindi alla superficie e perdi o non trovi mai la forza per andare a capire cosa c'é sotto al visibile. Laggiù dove sei nudo, dove sei te stesso e basta. E così perdendo di vista gli altri perdi di vista anche te stesso e questo é un'altro grande sbaglio.

Arriva, credo per tutti, un momento a partire dal quale la nostra vita inizia a correre velocemente e facciamo sempre più fatica a tenerla sotto controllo. A me é capitato così, ma penso che sia abbastanza comune. E' stato quando ho iniziato a lavorare, ad uscire di casa, a vivere in un'altra città, ad avere una donna con la quale condividere un progetto di vita, avere una figlia, diventare adulto. La velleità di tenere tutto sotto controllo senza avere una linea guida, una coerenza, chiamiamola così. Ha poca importanza che questo sia successo a venticinque, trentacinque o quarantacinque anni. Ma arriva un momento nel quale inizi, piano piano, quasi senza accorgertene, poi a riannodare tutti quei fili dispersi di cui é composta la tua vita e ti rendi conto, almeno nel mio caso é successo così, che concretamente molti di quei fili che credevi di tenere saldamente fra le mani, le redini della mia vita, in realtà se ne andavano per i cavoli loro. Dove volevano. Ed io con loro, naturalmente. Io andavo accorgendomi di non andare dove volevo ma dove la vita, intesa come tutto ciò che ti sta intorno, mi portava.

Ad un certo punto mi sono reso conto, quindi che la vita mi aveva portato dove voleva lei e non dove volessi andare veramente io. Quasi mai puoi tornare indietro, il tempo é passato, le cose sono successe e non si ripresentano più occasioni di poterle rifare diversamente. Allora inizi a fare il conto dei bivi attraverso i quali sei passato e ripercorri le scelte fatte e ti accorgi che, molto spesso, le scelte fatte sono state delle non-scelte, i mali minori, le convenienze del momento e molte di quelle cazzate lì. Nel mio caso questo é stato per me destabilizzante perché mi sono scoperto nella realtà non dove sarei voluto essere, non come sarei voluto essere, perché, forse, avrei voluto essere diverso. E un primo pensiero negativo ti fa strada nella testa, iniziando un percorso che va ad attraversare i momenti di disagio che avevo provato negli anni precedenti, le scontentezze, i dubbi, le indecisioni e tutto quel genere di cose a cui non avevo fatto molto caso, ma che adesso iniziavano a rimbombare come in una cassa di risonanza.

E poi ti rendi conto, quale orrore, di non conoscerti come veramente sei e questo ti mette addosso una inquietudine bestiale. Almeno a me, credo sia successo così. Ti guardi allo specchio una mattina e ti vedi come se tu non ti fossi visto da tanti anni. Ti vedi diverso. Ti spaventi, non ti riconosci. E ti chiedi se sei tu, quella persona che vedi riflessa nello specchio. E capisci che, se non riconosci l'apparente, chissà come mai ti potrà apparire ciò che non si vede, la tua vera anima, il tuo vero io, la tua essenza. Allora, fondamentalmente, hai due strade da percorrere. Una difficile, in salita, fatta di elementi da capire, di cose di cui prendersi carico, di momenti da analizzare, di comportamenti per i quali darsi quanto meno una ragione e collocarli dentro uno schema, che sei tu stesso, che va ricostruito o quanto meno razionalizzato, per poi alla fine essere in qualche modo accettato, condiviso. La seconda, più facile, é quella di spazzare tutti i pensieri sotto al tappeto, nasconderli ed andare avanti come se nulla fosse, allontanandoti ancora di più da te stesso e da chi ti sta vicini giorno dopo giorno. Un bivio, ancora una volta.

In realtà ve ne sarebbe una terza di strada, ma di questa te ne rendi conto dopo, dopo che hai percorso le prime due. Nell'ordine io le ho percorse tutte due, le strade che portano in nessun posto o nel posto sbagliato. Per prima cosa ho messo tonnellate di polvere sotto al tappeto, milioni di pensieri dentro i cassetti, dietro le porte, persino nell'anima dei rotoli di carta igienica. Ho nascosto tutto ciò che non mi piaceva, ho fatto finta che non esistesse nulla al di là di ciò che volevo credere di volere. Continuare a vivere come se niente fosse, se la malinconia non esistesse, andando al di sopra delle righe. Ci sono molti modi per andare al di sopra delle righe, ognuno ha i suoi e credo che non sia importante farne una classificazione, perché ognuno di noi ha le sue strategie per mentirsi e per tradirsi. Chiaramente questa strada ti porta nel posto sbagliato, i pensieri negativi che si insinuano nella nostra mente continuano ad insediarsi e a prendere spazio. Piano piano, fino a che non crolli e non hai più spazio, dentro di te, dove nascondere ciò che non vuoi. E nel frattempo, comunque, non sei te stesso, neppure con te stesso.

Allora prendi la seconda strada, quella della razionalizzazione, della catalogazione, quella del cervello. Un percorso così faticoso, da archivista, che, purtroppo, non ti porta in nessun posto. E' inutile ricollocare il passato se non pensi all'oggi. Dopo milioni di anni che lo fai ti rendi conto che provi a dare delle risposte razionali a problemi che razionali non sono, che é come se tu cambiassi la disposizione dei mobili in casa solo perché i mobili ti fanno schifo. Ma un divano che fa schifo davanti alla televisione ti continua a far schifo anche se lo metti sotto la finestra. Il problema non é dove é il divano, ma il divano stesso. Se non lo cambi lo puoi mettere dove vuoi ma ti continuerà a far cagare. Lo stesso con noi stessi. Invece di nasconderci, proviamo a cambarci. Cambiamo look, cambiamo interessi, ci iscriviamo in palestra, ai corsi di inglese, andiamo ad un happy hour, frequentiamo gente nuova, facciamo qualsiasi cosa, pensando bene a cosa fare e come farlo, ma in fin dei conti siamo sempre noi, con le nostre facce sconosciute anche a noi stessi. Questa seconda strada é una sorta di regressione. Far finta di essere diversi, ma con l'ardire di volere essere noi a condurre la danza della diversità, anziché farcela condurre dalla vita. Ma é poi così diverso veramente?

Così, in quanto tempo e per quanto tempo non conta, ho percorso queste due vie che non portano in nessun posto, che non portano verso me stesso, ad una vera consapevolezza di cosa sono e di cosa vorrei essere. Sono strade che non hanno nome, come nel pezzo degli U2, strade che non portano da nessuna parte. Non ha nessuna importanza per quanto tempo percorri queste vie senza nome, un giorno o un secolo sono comunque troppo, l'importante é che a un certo punto ti fermi e ti chiedi dove vai, cosa stai facendo e chi c'é con te, soprattutto se ci sei tu o ancora un altro al tuo posto. Finché percorri le vie senza nome in pratica muori dentro ogni giorno un poco di più e io sto morendo dentro ogni giorno un poco. Sto morendo nascondendomi o schematizzandomi. Sono due facce della stessa medaglia.

L'altra strada, la terza, é quella del prendere atto e del vedersi come si é e non come ci si vorrebbe vedere, E' la strada che rifiuta il nascondino e gli schematismi, la strada dove qualcuno ti prende per mano e ti guida fuori dalle strade senza nome. Dove quel qualcuno che ti prende per mano alla fine non può essere che te stesso.

La prima cosa é chiedere aiuto. Rendersi conto di avere bisogno di aiuto e chiedere aiuto é un passo enorme come l'universo. Almeno per me é così. Nonostante siano anni che chiedo aiuto, subliminalmente o esplicitamente, farlo consapevolmente é tutta un'altra cosa. E' essere umili, non essere deboli. Chiedere aiuto non é un segno di debolezza, ma di forza. Si fa molta fatica a chiedere aiuto. Ci si vergogna, ma non ci si dovrebbe vergognare. Bisogna forzarsi un poco all'inizio, ma se ti trovi nel labirinto delle strade senza nome e non si hanno punti di riferimento, allora l'unica cosa é trovarne. Bisogna sforzarsi di trovare questi punti di riferimento, che, per forza di cose e per la loro essenza, sono fuori di te. Sono fuori dalla mente che vaga nelle strade senza nome. Sono altro, é Dio, sono gli angeli, sono gli amici, sono i professionisti, sono le medicine, sono le persone che ti amano, sono tutto quello che ti può far vedere le cose con occhi diversi, visto che i tuoi occhi si sono abituati alle facili e difficili rutilanti luci delle strade che non vanno da nessuna parte.

Sono come il binario nove e tre quarti di Harry Potter, che é lì, ma gli occhi abituati ed abitudinari dei passeggeri normali dei treni della vita, quei treni che non vanno in nessun posto, non riescono a vedere, né tanto meno trovare. Magari sanno che esiste, forse, ma senza qualcuno che ti aiuti a capire come si fa non possono arrivarci. Oh, non é che una volta che hai trovato il binario nove e tre quarti tu poi sappia ritrovarlo ogni volta. La depressione é come l'ottovolante di Mirabilandia, va e viene. E comanda lei. Io credo che la depressione sia uno stato mentale, una forma, un vestito, un bozzolo. Non é che se la capisci la eviti, riesci a non farti trovare e smetti di morire un poco ogni giorno. Purtroppo non è così e non sarà così. Te la porterai dietro tutta la vita e farà parte del tuo bagaglio di esperienza, di conoscenza e di consapevolezza e non ti lascerà mai. Il che non é sostanzialmente negativo, a patto di essere sempre te stesso.

Cosa c'é di meglio di aver provato la fame per comprendere quanto é bello mangiare, quanto é buono mangiare e quanto é utile dividere il mangiare con qualcun altro. Cosa c'é di meglio di aver provato la sete per essere consapevoli di cosa significa bere, di cosa significa darsi la vita, darsi la possibilità di vivere. Cosa c'é di meglio di essere stati depressi per godersi un raggio di sole, per dare valore a quelle piccole e grandi cose che la vita ci mette a disposizione. Anzi, nel momento in cui non mi dovessi più accorgere di quanto é bella la vita, vorrei urlare benvenuta a te depressione che mi fai star male ma che poi mi fai capire di quanto è meraviglioso ciò che mi circonda. L'importante é avere se stessi, essere se stessi. Essere ciò che si vuole essere, non essere ciò che il mondo ti porta ad essere. Avendo sempre presente che cosa si é e di che cosa si ha bisogno. Cioé di niente, a pensarci bene.

Io sto morendo dentro, ogni giorno un poco. A pensarci bene ne dovrei essere felice, perché la mia vita, quella che rimane, acquista significato, acquista valore. Sto difendendo la mia vita, me stesso, con le unghie e coi denti, anche se sono tanto debole. Ma più sono debole e più probabilmente sono forte, più sono umile e più sono forte. Più per il mondo sono sfigato più io mi sento rinforzato. Più ho i miei cari, più ho i miei amici, più ho persone da amare e meglio sto. Anche se mi costa passare attraverso un pezzo di morte, tutti i giorni.

Io non sono il mondo, io sono Guglielmo Maria.

E voglio bene a me, mi amo, con tutti i miei difetti. E voglio bene, amo, tutte le persone che mi stanno vicino e hanno anche la pazienza ed il coraggio di aiutarmi, ognuno a suo modo. E se io non perdono me stesso, nel senso di perdonare non di perdere, perdono tutti, nel senso di perdere e non di perdonare. Tutti quelli che mi hanno fatto del male ma che grazie a quel male mi hanno fatto capire cosa c'é di veramente importante nella mia vita, mi hanno reso più consapevole. Più umano, meno automatico, meno falso, meno schematizzato. E tutte le volte che la vita mi fa salire sull'ottovolante della depressione e mi fa star male, dopo ogni giro penso che ne uscirò rafforzato e più é dura e più ne uscirò forte.

Aiuto, ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto per poter dare aiuto. Ora più che mai.

Un'abbraccio universale a tutti quelli che sono arrivati fin qui, con me o che ci arriveranno. Prima o poi.

Si può solo migliorare.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Hai scritto quello che sento,quello che penso.In fondo a te c'è ancora dell'ottimismo però,è una bella cosa,vedo che ti dona momenti di felicità,io purtoppo non riesco a tirarmi fuori dai rimorsi e dai rimpianti.

Anonimo ha detto...

Anch'io mi riconosco in molte cose se non tutte. Mi sento così di merda, inutile. Sbaglio sempre ovvero mi accorgo dopo di non aver fatto una scelta e di aver sbagliato ed ho l'angoscia di vedere come e se riusciro ad uscire da questo errore.

Marco Xavier ha detto...

Sentirsi di merda o inutile, non vuol dire esserlo. :)

Anonimo ha detto...

Farsi aiutare.... Nemmeno io conosco altre strade. Ma non credere che il male di vivere rafforzi... No anzi ti annega.

Anonimo ha detto...

In verità chiedere aiuto presuppone qualcuno dall' altra parte pronto a farlo io non ho nessuno .......ho contro i miei genitori, mia moglie ,mia suocera e nn ho mai trovato 1 persona che abbia detto ti sono vicino

Guglielmo Maria ha detto...

Chiedere aiuto è un grande passo. La difficoltà, nel mio caso, è stato iniziare, soprattutto perché ero convinto che il mondo iniziasse e finisse con le persone fisicamente più vicine. Coraggio. Un abbraccio

Anonima ha detto...

Io sono una maniaca del controllo..ma ho ceduto anche io ...ho chiesto aiuto...ma sarebbe stato meglio non farlo perché adesso so per certo che non ho nessuno. I miei Pensiem i negativi sono peggiorati. ..ho provato due volte a togliermi la vita ma sono tanto fallita da nn esserci nemmeno riuscita. È bello vedere che qualcuno ci sta riuscendo.

Guglielmo Maria ha detto...

Ciao Anonima, anche io sono un maniaco del controllo.
Credo sia nato tutto da lì, da non sentirsi capace di controllare tutto. Mi permetto di suggerirti di provare a smetterla di voler controllare tutto, io sono certo che la mia agenda sarà piena di cose da fare anche quando morirò...
Fammi sapere, un abbraccio!

Anonimo ha detto...

idem...sto arrivando a riconoscere di non essere la persona forte che ero...o che credevo di essere...ma mi sento sprofondare,senza avere piú la forza,o la volontá,di uscirne fuori.Vedo solo vuoto davanti..vorrei urlare,ma non so nemmeno cosa e a nessuno potrei parlare cosi.La debolezza viene schivata

Anonimo ha detto...

Se ognuno su questa terra persa in un universo infinito (una terra abitata, come si dice, da una natura perfetta che a me appare invece estremamente crudele) potesse provare per un solo giorno la disperazione che avvolge un depresso, e ne sapesse fare tesoro, forse
vivremmo in un mondo migliore, sempre senza alcun senso e senza alcun fine, ma almeno consapevole di quanto deboli siamo o potremmo essere.

Riporto alcune parole tratte dal protagonista della serie tv "true detective":
--IO MI CONSIDERO UNA PERSONA REALISTA, MA IN TERMINI FILOSOFICI SONO QUELLO CHE DEFINIRESTI
UN PESSIMISTA, NON SONO UNO SPASSO ALLE FESTE, CREDO CHE LA COSCIENZA UMANA SIA UN TRAGICO PASSO FALSO DELL'EVOLUZIONE, SIAMO TROPO CONSAPEVOLI DI NOI STESSI.

--LA NATURA HA CREATO UN ASPETTO DELLA NATURA SEPARATA DA SE STESSA. SIAMO CREATURE CHE NON DOVREBBERO ESISTERE, PER LE LEGGI DELLA NATURA. SIAMO DELLE COSE CHE SI AFFANNAO NELL'ILLUSIONE DI AVERE UNA COSCIENZA, QUESTO INCREMENTO DELLA REATTIVITA' E DELLE ESPERIENZE SENSORIALI E' PROGRAMMATO PER DARCI L'ASSICURAZIONE CHE OGNUNO DI NOI E' IMPORTANTE, QUANDO INVECE SIAMO TUTTI INSIGNIFICANTI,

--IO CREDO CHE LA COSA PIU' ONOREVOLE PER LA NOSTRA SPECIE SIA RIFIUTARE LA PROGRAMMAZIONE, SMETTERLA DI RIPRODURCI, PROCEDERE MANO NELLA MANO VERSO L'ESTINZIONE.

--UN'ULTIMA MEZZANOTTE IN CUI FRATELLI E SORELLE RINUNCIANO AD UN TRATTAMENTO INIQUO.

--IO DICO A ME STESSO CHE SONO UN TESTIMONE, MA LA RISPOSTA GIUSTA E' CHE SONO STATO PROGRAMMATO COSI', E MI MANCA LA DISPOSIZIONE AL SUICIDIO.

Personalmente arrivato a 58 anni lottando quotidianamente con forti disagi fin dai 17 anni e con una depressione costante, quotidiana, da circa 20, ho quasi finito la benzina. Mi sforzo di continuare in questa solitudine solo perche', non so con quali energie, accudire padre e madre nella loro vecchiaia.
Mi auguro che qualcuno di voi riesca a farcela. Giorgio

Io ha detto...

Credi.i..io vorrei disintegrarmi.e non posso farlo.