Guglielmo Maria

Guglielmo Maria
Le Sette Sorelle

giovedì 11 marzo 2010

Questa è una storia vera.

Correva un anno, qualche anno fa, quando per gli azzurri in mutande che si riempiono di falli tirandosi le palle, iniziava l’avventura al mondiale. Avevano quasi tutta l’opinione pubblica girata in contromano a causa degli scandali calciòpoli, moggiòpoli, arbitròpoli e mònopoli, tanto che tutti pensavano che al massimo con i nostri fortissimi si potesse affittare uno sgabuzzino a Bastioni Gran Sasso nei bassifondi di Ingolstadt per guardarsi in pace gli ottavi di finale.

Invece si scoprì che ci si poteva permettere una suite presidenziale al Parco della Vittoria di Berlino, ma siccome il presidente del Consiglio non era Berlusconi se non altro ci vennero risparmiate le probabilità, gli imprevisti, puttanopoli e le cazzate di Travaglio.

Nel frattempo io mi grattavo spesso il culo.

Una specie di fastidiosissimo eczema preterintenzionale aveva preso alloggio nel solco fra le mie chiappe circa una spanna sopra la fine della tubatura intestinale. Col primo caldo di giugno la cosa era degenerata in modo tale che mi toccava girare con uno scopino del cesso telescopico a portata di mano per darmi una cipollata in santa pace senza farmi notare in modo particolare, mentre assumevo l’aria interessata di chi ammira i quadri di Van Gogh al Kröller-Müller Museum nella savana dell’Hoge Veluwe.

Dopo un certo tempo, non potendone più, con la massima vergogna andai a consultare una dermatologa della bassa che, mettendomi a culo busone e osservandomi professionalmente con una lente d’ingrandimento, emise la ferale sentenza… mi sarei dovuto impiastricciare con una costosa pomatina puzzolente tre volte al giorno lasciando “respirare la parte”, in pratica girar per Fast City senza mutande dentro un caffettano arabo.

Per un po’ ci provai, girando a braga larga. I primi risultati furono incoraggianti, il prurito nel fondo del fiasco pareva scomparso, a parte qualche ritorno di fiamma assolutamente temporaneo, però al suo posto pian piano mi veniva da grattarmi gli stinchi. Nel giro di qualche giorno la “parte” era liscia bellissima e bionda come la pubblicità del Mulino Bianco però appena sopra ai piedi ero rosso e mi grattavo da lì fino alle ginocchia.

Telefono alla dermatologa che mi fa tornare per un’altra seduta.

L’eczema pareva diverso, quindi dovevo cambiare la pomata, ripassare in farmacia e girare coi calzini bianchi e corti. Passo in merceria a comprare i calzini e nell’uscire dal negozio mi viene da grattare un’ascella. Sulle prime non ci faccio caso, ma la mattina dopo mentre nudo mi faccio la barba alzando il braccio destro noto una macchiolina rossa a quattro centimetri dal pelo. Lì per lì non me frega un cazzo, mi metto i miei calzini bianchi, le braghe larghe e parto per il mondo.

Quattro giorni dopo ho le ascelle in fiamme, i polpacci rosa ed le chiappe chiare. Richiamo la dottoressa che meravigliandosi della situazione mi propone l’ennesima visita allo studio. Ci torno prima che posso con due sacchetti del ghiaccio nelle cavità ascellari ed esco con un barattolino omaggio di pasta di fissan da mettere su tre volte al giorno e stanco ma felice me ne torno verso casa con l’aria di chi cerca una ragione alla propria esistenza sfortunata.

Alle nove pisciando mi viene da raspar a fianco dello scroto.

Mi metto a letto perplesso ma tutto impomatato e senza dir niente a Mrs.K. mi giro dall’altra parte e dico le preghiere della sera. Il mattino dopo conferma le fosche previsioni del Colonnello Bernacca, tutta la pelle intorno ai maroni sembrava porporina. Mi lavo con la massima dolcezza e butto lì un po’ di pasta di fissan, tanto per scrupolo.

Due giorni dopo durante la pausa pranzo chiamo la dermatologa sul cellulare sottovoce e con l’aria colpevole di chi confessa il suo più grande peccato le chiedo udienza per qualche ora dopo. Alla richiesta dei sintomi ho iniziato a parlare come Emilio Fede al telegiornale e credo che lei non abbia capito un cazzo ma era tanto professionale che non me lo fece capire. Più tardi mi vergognai moltissimo senza mutande davanti a lei che mi guardava con la lente di Sherlock Holmes.

Mi propose una crema idratante, un detergente all’olio e dei bidè all’acqua di Lourdes.

Nei giorni seguenti pareva che le cose andassero decisamente meglio. Era ormai luglio fatto ed io, come da buona tradizione familiare, partivo per due settimane di vacanza a Milano Massiccia con una bella collezione di solari, pomate, creme idratanti e pasta allo zinco pronto a combattere tutte le mie guerre. Dentro di me una volpe urlava nel deserto, come Rommel.

Due giorni e avevo già l’eritema.

In farmacia mi propongono un’antistaminico, ombra, maglietta e buone letture. Approfitto della situazione per farmi i cazzi miei sotto l’ombrellone ma mi sentivo spaesato come una matricola il primo giorno di università e anche un pochetto preoccupato visto che il rossore nei maroni continuava a non passare. Passato l’eritema sul fronte occidentale, intanto, il nemico sembrava cedere nella battaglia per le ascelle, anche se teneva posizione sui polpacci. L’Italia vince i mondiali e io chiamo la dottoressa per studiare la strategia finale, lei mi dice di prendere il sole e fare almeno un bagno tutti i giorni.

Mi ritorna l’eritema.

Mando a fanculo Rommel e me ne torno sotto l’ombrellone con Mrs.K. che si incazza perché non sto con lei e con la bambina, ma me ne frego perché dopo tre giorni si torna a Fast City immersa in una bella afa di merda, alla vita quotidiana. Aggiorno la dottoressa sulla situazione, l’obiettivo è passare agosto perché lei va in ferie, quindi mi munisce di ricette terra-aria pronte all’uso a seconda dei fronti di guerra aperti, una per il culo, una per le palle, una per le ascelle, una per la crema idratante e la pasta di zinco, una per il detergente all’olio e per l’acqua di Lourdes.

Non so come passa agosto, una convivenza forzata tra pruderie e pomatine, fra bidé e cappellino, tra magliette nere, braghe larghe e calzini bianchi sul bordo di un laghetto del Trentino, tirando sassi alle folaghe e facendo l’haka dei maori invece di masturbarmi. Come Dio vuole, riesco a tornare a casa dopo ferragosto, ma tutto sudato.

Che bella la normalità, il lavoro, le strade vuote che non sono iniziate le scuole, le lunghe serate in compagnia del karaoke della piazza e il ritornello dei mondiali “popopopopooo, campioni del mondo…” che spopola fra YouTube e RaiUno, senza Rete 4 perché il premier è comunista. Mi godo tutte queste cose mantenendomi vigile e diligente nella lunga battaglia che si svolge sull’epidermide, senza temere il peggio.

Che, puntualmente, arriva.

Lunedì 4 settembre 2006 mi sveglio ricoperto da uno strato continuo di squame rossastre, come una carpa giapponese. Ne ero pieno dal collo alle caviglie, dappertutto. Resistevano i piedi, le orecchie, il viso e i piedi, tutto il resto, anche in luoghi difficili da immaginare, era terreno del nemico. Due giorni dopo, mentre Natascha Kampusch appare per la prima volta in tv dopo il suo rapimento, entro mestamente e a testa bassa nello studio della dermatologa. Fra il diploma di laurea e le riviste specializzate, le creme e la sedia ginecologia (lo studio è a part time) io rimango nudo, in piedi, sezionato, esplorato, cannibalizzato, come una mappa strategica prima della battaglia campale.

Metadone e biopsia. Il referto arriva in pochissimo tempo, bisogna usare le atomiche. Cazzo, il metadone! Mi mancava! La biopsia! Mi mancava! Mamanca, celò, mamanca, celò. Ora celò tutti.

Mercoledì 13 settembre, poliambulatorio di Castrum Nasicae, ore 15. Segno professionale di penna biro sul braccio sinistro, mentre mi giro dalla parte opposta mi viene segato via un millimetro di pelle con una specie di cannuccia di McDonalds. Non mi giro perché sono sensibile, il sangue mi da fastidio, soprattutto se è il mio. Anche la teutonica Mrs.K. si gira dall’altra parte, io accenno ad uno svenimento e mi danno una caramella alla fragola della Coop.

Prendendo il metadone per bocca avevo iniziato a contenere il nemico che si ritirava sempre più indietro, liberando ampi spazi dai fronti. Quello occidentale era una bazza, quello orientale un po’ meno, a settentrione non vi erano segnali di resistenza mentre a meridione stavo liberando le caviglie dal giogo del nemico. Sul fronte meridiano, intorno ai maroni, la lotta era cruenta, ma leale, da uomini con le palle.

Giovedì 21 settembre mi comunicano i risultati della biopsia. Negativa, non c’è nulla. Sono dei mesi che combatto contro il prurito e non so neppure a chi dar la colpa. Meno male che il metadone funzionava, dopo due settimane le atomiche avevano fatto il loro dovere. Il nemico era praticamente sparito ed io potevo rilassarmi un poco, tornando ad una banale guerriglia a base di pomatine e creme idratanti negli ultimi focolai di rivolta. Troppo bello per essere vero.

Mercoledì 27 settembre, giorno di paga, faccio la doccia mattutina cantando “La jena si è svegliata e a mezzanotte va a caccia di umoristi lungo i boulevard” quando, guardandomi allo specchio, noto uno strano chiarore sopra la fronte. Scosto i capelli e osservo meglio ma rimango un po’ perplesso. Mi vesto, con uno strano presentimento, vado al lavoro in una giornata che non passa mai, fanculo anche a lei, ed alle sei di sera mi presento dal parrucchiere di mia mamma. Mi taglia i capelli corti, more solito, ma mi fa notare alcune macchioline di pelle candida che risaltano nella boscaglia.

Alopecia Areata multilocularis.

Dopo tre mesi in testa avevo qualche ciuffo qua e là immerso nel riscaldamento globale dell’era postatomica. A Natale sembravo un leopardo dalle orecchie in su ed un coglione dalle orecchie in giù. La dermatologa non si faceva più trovare, io avevo smesso di cercarla e mia figlia mi guardava la testa scossando la sua. Un mio cuginetto, durante le feste, mi chiede se avevo i pidocchi mentre sua mamma con un calcio nel culo lo fa uscire dalla finestra, come la stella cometa coi Re Magi.

A marzo con l’arrivo della primavera l’unico pezzo di inverno rimasto era la mia valle degli orti da caduta di capelli, ero un albero senza le foglie, una notte senza stelle, una merda senza il gramadello.

A maggio ero praticamente pelato, salvo una bella incollatura nera che partendo da un orecchio arrivava all’altro ed a una croce di Sant’Andrea proprio in cima alla capoccia. Il 20 del mese partecipo alla rimpatriata delle nozze d’argento col diploma alle mie vecchie scuole superiori e i miei vecchi compagni mi guardano con l’aria che di solito si dedica ai drogati che ti chiedono l’elemosina alla stazione di Amsterdam. Nessuno commenta. Meno male.

A giugno, coi primi caldi mi rado a zero, sembrando un uovo e una mia amica perlomeno sincera mi chiede perché ho quell’aria da cattivo. Mi sento vecchio stanco sconfitto incazzato e con l’alito che puzza. Inizio ad evitare i miei simili, richiudendomi in casa, mi rispuntano la depressione ed i propositi di farla finita con il genere umano. Non mi riconosco più quando mi guardo allo specchio e quella faccia di fronte a me con quell’aria da coglione non mi appartiene proprio.

A luglio, Milano Massiccia, ombrellone, maglietta, libri, eritema e cappellino che poi mi brucio la pelata. Tra le pagine del Carlino occhieggio un gruppo di ventenni capelluti in un ombrellone vicino al mio e ho un raptus di invidia e nostalgia. Ma dove cazzo va la mia vita? Loro rispondono al mio sguardo rullandosi un cannone. Ma dove cazzo sono i carabinieri? Gioventù bruciata.

Ad agosto, laghetto e folaghe. Invece dei sassi tiro i bastoni.

A settembre smetto di farmi tosare la testa da Mrs.K. e preferisco i ciuffi.

A ottobre entro in terapia di supporto psicologico.

A novembre pian piano, qualche capello bianco prende vita e ancora più pian piano la mia testa assomiglia alla pelle di una mucca pezzata. Una bella pelle di vacca di quelle che andavano negli anni settanta. Chi non l’ha mai avuta? Festeggio il compleanno con una doppia dose di zoloft. Minchia, che culo… una botta di vita.

A gennaio, dopo le feste comandate, cambio guru e anche le medicine. I capelli ricrescono a placche, bianchi, grigi e neri. Li lascio fare, tanto non me ne frega più un cazzo.

***

Il tempo ha i suoi vantaggi, smorza le passioni, le pulsioni e le incazzature, si diventa filosofi. Gliela dò sù col pensarci, che facciano quel che vogliono, gli stronzi. Giorno dopo giorno la testa si rimodella fra discromie primarie, laghetti dolomitici, Fast City e videogiochi. Oggi se mi tocco la testa sento capelli dappertutto, anche se poi sono di colori diversi. Il parrucchiere di mia mamma ha pietà di me e non mi fa pagare dal 2007, la gente intorno a me non dà segni di stupore e mi consola come può ed io gradisco l’intenzione. Ogni tanto il mio cuginetto mi chiede se ho ancora “la malattia” intanto che sua mamma lo caccia a calci nel culo. Ma, povero cinno, che colpa ne ha lui se è l’unico sincero al mondo?

Comunque me ne son fatto una ragione e buonanotte. Sono così e così rimango, invischiato nell’improbabile al bar Metrò mangiando un sandwich del ’43, come canta Sergio Caputo. Non so se ho vinto o perso la guerra, ma sto meglio. Ovviamente si sta meglio da filosofi che da soldati, dopotutto e non mi va di passare per quei giapponesi che trent’anni dopo la guerra si nascondevano fra la jungla di pacifiche isole dove il tempo si era fermato.

Il tempo passa e tutto cambia, soprattutto noi.

Infatti mi è tornato l’eczema nel culo e l’ho accolto come un vecchio amico.

9 commenti:

Marzia Bisognin alias Nonna Letizia ha detto...

Questo racconto di malattia è .... bellissimo. Ma non vorrei sembrare irrispettosa....
marzia

Fabio Bogliotti ha detto...

Letizia, dici irrispettosa? e perché mai? hehehe

bravo GM (che non è la famosa fabbrica di auto!): diretto ed efficace, ilare quanto basta e per nulla volgare... i miei complimenti (che, ne approfitto, valgono anche per gli altri post)

strillo

Guglielmo Maria ha detto...

grazie marzia, grazie strillo

ma perché irrispettosa? questo é un luogo franco, contano solo le persone e nessuna persona é irrispettosa... thanks a lot

GM

zan ha detto...

mi sono commossa dalle risate! se no ti conoscessi direi che hai un'ottima fantasia!

Guglielmo Maria ha detto...

hola Zan, sei così Zen! ;)

Unknown ha detto...

Divertentissimo! Almeno come l hai raccontato! Anch Io ho sofferto di AU ed e' stato terribile! Un abbraccione

Guglielmo Maria ha detto...

grazie buba! mi fa piacere che qualcuno passi ancora da qui... avevo mollato un pò l'osso, ma mi sa che lo riprendo... :)

Unknown ha detto...

Un bellissimo e divertente racconto.. ;)

Guglielmo Maria ha detto...

Gentile Margherita, sono lieto che ti abbia divertito. Come ho scritto, è una storia vera. Al momento ho di nuovo tutti i capelli e più scuri di prima, tranne dove mi erano rimasti che sono grigi... Ciao!