Guglielmo Maria

Guglielmo Maria
Le Sette Sorelle

lunedì 29 marzo 2010

Carissima, tu lo sai che stamattina ho pianto per te mentre me ne stavo nella mia gabbia, tu lo sai che ho sentito il tuo dolore e l'ho accettato e l'ho preso come fosse mio, anche se mi ha fatto male, molto male. Ma, si sa, se la vita non é vissuta veramente cosa la viviamo a fare? Meglio un giorno da leone che cent'anni da pecora, dicono i proverbi, che spesso hanno ragione.

Oggi ho risentito quella forza bruta che mi prende da dentro e mi spacca a metà, quella forza strana che sento tutte le volte che penso a te, quella forza viva che nasce in virtù di... una profonda amicizia e di una forte empatia? Anche se non ci conosciamo, anche se siamo così diversi, così provenienti da altri pianeti e viviamo anche in mondi così lontani.

"Io", il regolare, l'impiegato, nella media della media, io, un essere da libro delle statistiche, quello del mezzo pollo, io marito, io papà, io con la station wagon, la ventiquattrore, il giornale alla mattina, il caffé al bar, le ore al lavoro, senza gioia, senza infamia e senza lode. Io, la cui unica trasgressione é quella di buttare lo scontrino del bar dentro al cestino del bancomat facendo il dito medio alla telecamera lì sul muro, tanto per dare un tono alla mattina. Io, che mi ritrovo alla mezza età e facendo il bilancio di una vita di positivo ci scopro solo che almeno non mi metto sempre e solo le dita nel naso; io il qualunque.

"Tu", l'angelo perduto, quella che ha immolato la propria gioventù sull'altare di non si sa cosa, che si ritrova alla mezza età e si scopre alla metà del guado della vita improvvisamente e forse improvvisamente si chiede il perché. Tu che sei libera di essere, non hai legami, puoi vivere oggi qui e domani là, senza rispondere a nessuno che a te stessa, che passi i minuti, le ore, le giornate ed i mesi come vuoi, salvo pentirtene e ricominciar daccapo, perché non sai fare altrimenti, Tu che ti fai uccidere a poco a poco, volta per volta ed é sempre più doloroso e quando si alza più forte il richiamo del tuo assassino sempre rispondi.

"Io" che ho fatto una vita inutile, piena di cose che mi chiedo se ho mai voluto far davvero, io che mi sento qui, anch'io a metà del guado e non so se andare avanti, tornare indietro oppure rimanere fermo, in mezzo alla corrente e farmi portar via come se fossi uno stronzo. Io che ho chiesto per quando morirò di essere cremato e ridotto in cenere e disperso in qualche parco, su qualche montagna o in mezzo al mare, io che non penso più al suicidio ma che non voglio essere ricordato nemmeno con una targhetta, meglio l'oblio, sicuramente. Io che ho vissuto i miei cent'anni da pecora, sempre spaventato dai leoni.

"Tu" che hai lasciato la tua valle, la tua casa e te ne sei partita per fare ciò che non so e che non voglio immaginare, tu che hai il cuore dilaniato per quante volte ti sono saltati addosso e te lo hanno mangiato, tu che te lo sei fatto mangiare. Tu che ti nascondi dietro ad un'armatura, tu che cerchi di non brillare come una stella, tu che sei il magnetismo che attrae intorno alla tua orbita, sperduta nel cielo come una stella cometa che va, torna, va e torna. Tu, che hai il corpo di fenice, che ogni giorno muori e bruci ed il mattino dopo rinasci dalle tue ceneri perché sei immortale.

"Io" che mi nascondo dietro a questa vita squallida e monotona, che cerco nel mio Dio rassicurante fatto di pastiglie la tranquillità e la vittoria contro l'ansia, contro l'angoscia, contro quello che mi prende e che mi porta via, chiuso in me stesso, nel buio di una stanza, dove mi vergogno per quello che sono e per quello che non sono, soprattutto. Io che ho una figlia che mi adora ma che non ha ancora  aperto gli occhi su ciò che veramente suo padre é. Io che ho una moglie che mi sopporta e che si é anche stancata delle mie pugnette anche se magari non me lo vuol far capire, ma si legge dai segni.

"Tu" che pensi che gli altri non possano innamorarsi di te ed invece hai tanti che ti amano. Tu che non ti ami, se no avresti smesso di farti del male, tu che sei aggrappata alla vita come un naufrago ad un tronco d'albero, con tutte le sue forze, ma in balia della corrente che lo porta via. Tu che sei un angelo caduto, dalle ali spennacchiate eppure anche così sei di una bellezza spaventosa, che si fa fatica a guardarti, perché si rimane abbagliati e senza parole. Tu che dici di non credere in Dio ma poi diventa lui il bersaglio dei tuoi strali. Tu che dopo una vita impossibile hai avuto lo stesso la bontà e la forza di allungare una mano e far rialzare in piedi e vivere chi era già rassegnato ad una lenta morte, come una candela che si spegne, come me, il coglione.

Tu, quel giorno, hai regalato a me il piacere dell'oggi.

Voglio dirti... vivilo anche tu questo "oggi", vivilo vividamente, a colori, in alta definizione, respirando, volendoti bene, amandoti, anche se non sai quanti giorni ti rimangono, come non lo so io quanti giorni mi rimangono. Dopo cent'anni da pecora ho conosciuto finalmente un leone, anzi una leonessa, che però non sa di esserlo e se lo sa, fa conto di non saperlo. Però questa leonessa mi ha insegnato come si fa e me l'ha insegnato solo con l'esempio.

Smetti di nasconderti, leonessa. Ruggisci, scagliati contro chi ti fa del male, anche contro te stessa se ti serve, ma fallo. Sei bellissima, leonessa, ricordati che non devi vergognarti di niente.

Ti amo, magari a modo mio, ma ti amo. GM

Nessun commento: